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Grazie, Presidente. Colleghi, rappresentanti del Governo, il festival di cui ci stiamo occupando oggi nasce nel 1973 con una formula che solo i più anziani di noi ricordano: itinerante e totalmente gratuita; ed è senza ombra di dubbio la più importante manifestazione di musica jazz italiana. La formula del festival è mutata molte volte negli anni, spesso anticipando le tendenze del pubblico nella fruizione dello spettacolo di qualità e ha mantenuto, tuttavia, un suo specifico e peculiare tratto distintivo, la fortissima interazione tra la musica del nuovo mondo e gli ambienti urbani, architettonici, naturali nei quali si svolge: giardini, musei, teatri chiese, piccoli club, grandi piazze, Perugia, Orvieto, Terni, quest'anno per l'edizione pasquale, e ancora quest'anno, per la prima volta, Norcia, in segno di solidarietà e vicinanza con le aree e le popolazioni maggiormente colpite dal terremoto. Un festival che ha saputo crescere negli anni e valicare ampiamente i confini della mia e della nostra piccola regione.
Umbria Jazz non ha avuto, infatti, solo il merito di proporre buona musica, di far crescere la conoscenza del jazz in Italia, di promuovere il territorio attraverso un turismo culturale e di qualità; Umbria Jazz ha contribuito in modo determinante a far sì che il jazz italiano sia diventato uno dei principali protagonisti del panorama musicale internazionale.
Nel tempo la promozione del jazz italiano è diventata infatti una mission specifica di Umbria Jazz e della sua crescente azione di internazionalizzazione, che anche altri colleghi hanno richiamato. D'altra parte, il brand “Umbria Jazz” è oggi uno tra i più noti testimonial della musica italiana sulla scena internazionale e uno dei più accreditati veicoli dell'italian life style. Con la sua formula originale, che dal New York Times è stata definita jazz italian style, ha letteralmente esportato il jazz italiano all'estero, ottenendo successi di pubblico ovunque negli Stati Uniti, a New York, in Europa, da Belgrado a Barcellona, a Melbourne in Australia, a Tokyo, a Brasilia, a Rio de Janeiro, a San Paolo, a Curitiba, in Brasile, a Buenos Aires, a Soweto, in Sudafrica, e a Pretoria, fino all'ultima grande sfida, che è stata anch'essa citata e che io voglio però riprendere.
Nel 2016, Umbria Jazz porta per la prima volta il jazz italiano in Cina, non con un evento episodico, ma con un festival strutturato: sessantanove concerti, sette giorni, sette band, cinquantuno musicisti italiani, con il risultato di molte migliaia di spettatori e di una grandissima esposizione mediatica. Non a caso, questa esperienza si ripeterà nel 2017, con oltre cento concerti in Cina.
Stiamo dunque parlando di un festival che, insieme ai più grandi musicisti jazz italiani, ha portato e sta portando l'immagine e la cultura del nostro Paese, non solo dell'Umbria, nel mondo. Uno sforzo e un impegno che in tutti questi anni Umbria Jazz ha fatto con mezzi propri, i mezzi delle istituzioni locali, i mezzi degli sponsor, i tanti biglietti venduti, il tanto, tantissimo lavoro volontario, che tante persone dedicano, ogni anno (a cominciare dall'ideatore di questa manifestazione, che è già stato citato dalla onorevole Galgano, l'amico Carlo Pagnotta), da tanti anni, a questa manifestazione.
Ma ora tutta questa mole di eventi richiede un adeguamento organizzativo e di governance all'altezza dell'importanza assunta dal jazz italiano sulla scena culturale internazionale. Ecco perché lo scorso anno ho ritenuto, abbiamo ritenuto giusto, insieme ai colleghi umbri, raccogliere un appello che ci veniva rivolto da un folto gruppo di artisti italiani e stranieri, che scrivevano in questo modo: un tale riconoscimento, quello di cui stiamo parlando, una tale scelta, sarebbe un giusto riconoscimento non solo per il lavoro sin qui compiuto, ma anche per l'intero movimento jazzistico nazionale, attraverso la manifestazione storicamente più prestigiosa.
Il riconoscimento cadrebbe proprio nell'anno, il 2017, in cui il mondo del jazz e non solo festeggerà una ricorrenza importante, che anch'essa è stata citata: i cent'anni dalla registrazione del primo disco di questa musica che, guarda caso, venne effettuata in America da un musicista di sangue italiano come Nick la Rocca, figlio di siciliani emigrati a New Orleans.
Scrive Alberto Riva su la Repubblica a proposito di questo evento: “Chi abbia inventato o meno il jazz è un falso problema: è evidente che nessuna arte come il jazz è frutto di un mix le cui origini sono sostanzialmente le stesse del Big Bang”. Tuttavia, la spesso sottovalutata e misconosciuta parabola di Nick La Rocca rivela innanzitutto che in quel minestrone c'erano tanti italiani. E sarebbero aumentati, se pensiamo al peso che avranno nel jazz e nel business musicale gente come Frank Sinatra, Tony Bennett, i fratelli Candoli, Lennie Tristano, Louis Prima, Buddy De Franco e tanti altri, compreso quel Jack “Papa” Laine, alias George Vitale, che ai tempi di Nick La Rocca gestiva praticamente tutto il jazz bianco di New Orleans.
I primi dischi registrati dal cornettista e i suoi sodali nel 1917 hanno venduto milioni di copie e hanno fissato il punto di inizio rispetto a un passato sul quale possiamo solo congetturare.
Polillo nel suo classico Jazz, il libro della Mondadori, a proposito delle prime incisioni Victor e Columbia annotava che la mancanza di documenti discografici ci impedisce di verificare de audito come stessero esattamente le cose prima che gli uomini di New Orleans arrivassero al nord. Chi si era trovato dinanzi alle performance di La Rocca e delle altre band in circolazione in quel momento riferiva di un ragtime suonato veloce. Pare che lo stesso Armstrong, allora ragazzo, avesse constatato che il repertorio di quelle formazioni era ristretto ma si trattava di musica molto calda e suonata con slancio. Personalità potente quanto camaleontica, in un secolo il jazz è stato tutto e il contrario di tutto: musica tribale che entrava in città, cordiale accompagnamento da ballo o d'ascolto, palco per virtuosi, ribellione pura, gesto politico o snob, seducendo di volta in volta gente in cerca del nuovo oppure vecchi nostalgici. Di sicuro ha interrogato la musica e anche la società. Per primo ha fornito al racconto americano uno dei suoi ingredienti imprescindibili: la sanguinosa, gloriosa, lunga e tuttora sofferta epopea dell'integrazione. Dopo sarebbero arrivati il rhythm and blues, il rock, il rap, il funky, l'hip hop ma solo dopo, molto dopo.
Ritengo che con questa piccola proposta di legge facciamo un gesto di apertura, di una pagina nuova per Umbria Jazz ma anche un gesto di grande riconoscimento verso questo genere musicale che è un genere che dall'America all'Italia ha parlato e sta parlando a generazioni in tutto il mondo. Grazie alla presidente della Commissione e alla relatrice per il lavoro che abbiamo fatto e grazie a tutti i colleghi che vorranno votare la proposta di legge.